domenica, Aprile 28, 2024

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Disuguaglianza Femminile e di Genere, Analisi e Possibili soluzioni per le Donne

Spesso si è trattato il tema della disuguaglianza di genere nel Mondo e specialmente in Italia dove le tendenze sono leggermente peggiori rispetto agli altri Paesi che si professano “civili” (Germania, Francia, USA, Olanda, Filandia ecc.).

La media europea degli stipendi degli uomini è superiore del 16% rispetto ad una donna. In pratica se lo stipendio di un uomo fosse 1000 euro, mediamente una donna guadagnerebbe 840 euro (Fonte Eurostat).

Questo non è un problema solo per le donne, bensì di tutto il Paese. Infatti, la parità di genere nel mercato del lavoro va non solo a vantaggio delle donne, ma anche dell’economia e la società in generale, costituendo una risorsa economica fondamentale per favorire una crescita economica sostenibile ed inclusiva.” (Fonte qui).

La cosa paradossale è che esiste una connessione molto stretta e provata per cui più alto il titolo di formazione di un soggetto (diploma, laurea triennale, laurea magistrale, Master, dottorato di ricerca, e così via), più è probabile che egli avrà un reddito alto – in senso ampio potremmo dire un “tenore di vita” qualitativamente elevato.

Nel caso delle donne questo non avviene. Il paradosso deriva dal fatto che in Italia le donne laureate sono più degli uomini e il loro voto di laurea medio pure. Non solo si laureano più donne che uomini, ma anche con voti migliori (il tema può essere approfondito qui). Qualcosa frena i processi di uguaglianza di genere.

Come mai le donne sembrano allora guadagnare meno?

La risposta è che le donne lavorano, poi non riescono a fare carriera e raggiungere i vertici decisionali e manageriali nelle aziende o istituzioni. Questo crea una disuguaglianza tra uomini e donne. Volendo capire cosa è successo negli ultimi 10 anni (dal 2008 al 2018) possiamo dire che si è affrontata la questione, ma i risultati sono ancora insoddisfacenti.

La voce che interessante è quella del ruolo di CEO (Amministratore delegato in italiano) di sesso femminile nelle aziende. Nel 2008 era 0%, nel 2018 il 3% (qui per approfondire). Considerando che le donne laureate sono di più degli uomini e con voti migliori (quindi più preparate) c’è qualcosa che non torna.

Ci sono due risposte punti cruciali per rispondere al perché e come cercare di ridurre la differenza

1) Questione culturale

La donna è vista come una parte debole e sacrificabile nelle famiglie italiane (nel Sud in primis). Esse sono meno libere e represse da una cultura ancora molto patriarcale: essere maschi significa essere più liberi di fare, muoversi e pensare, proprio nel modo di trattare ed educare i figli.

Molte donne subiscono la vergogna di sbagliare (si pensi allo stupro e al classico “però era vestita scollata”, che dovrebbe giustificare atti di violenza e di stupro, rendendo la vittima oggetto e non soggetto dell’atto criminale). 

La cultura, ancora fortemente cattolica e oppressiva, su questo tema non aiuta. Non a caso, le donne non possono far messa, sono relegate a “compiti inferiori” nel mondo ecclesiastico. 

Per capire quanto una persona sia indipendente possiamo ragionare sulla capacità di muoversi liberamente sul territorio. L’Italia ha un sistema di trasporti notoriamente poco efficiente rispetto ad altri Paesi, dai trasporti su gomma urbani ed extraurbani (autobus), a quelli su ferro (i treni). Oggi è ancora essenziale l’uso della macchina per avere una mobilità completa e autonoma sia nei movimenti sia nelle fasce orarie, soprattutto per chi viene da contesti di periferia urbana o vive nelle campagne (dove mediamente la mentalità è più chiusa e meno cosmopolita).

Dunque, è interessante il dato per cui l’85,16% degli uomini ha una patente, contro il 63,21% delle donne (Qui i dati). Avere la patente e guidare significa poter essere indipendenti nel fare alcune scelte come: poter lavorare lontano da casa, studiare, vedersi con amici e parenti. Difficilmente questi progetti sono possibili se ci si deve sempre affidare a terzi (fidanzato, marito,compagno, padre, madre, fratello, sorella, amico/a di turno) con assiduità giornaliera (andare e tornare ogni giorno della settimana all’orario che ti è comodo). Tra l’altro i sistemi di controllo e sicurezza che hanno le auto oggi, possiamo anche smetterla con questa FAKE NEWS delle donne al volante, visto che solo il 25% degli incidenti è commesso dalle donne contro il 75% degli incidenti causati dagli uomini. Se gli incidenti in Italia fossero 100 in un anno, 75 sono fatti dal sesso maschile che potremmo definire loro un “pericolo costante” (Qui la fonte).

Il mio invito è quello di crescere donne più sicure e cercare di creare contesti costruttivi e di supporto verso le bambine e le ragazze, in modo tale che non debbano crescere con un senso di inferiorità costante verso gli uomini. In particolare bisogna creare una solidarietà tra donne oltre che tra uomini e donne con un’educazione al rispetto delle differenze che per fortuna esistono e sono una ricchezza da cui attingere. Le donne non sono deboli, le si tratta e le si cresce in modo sbagliato senza fidarsi di loro, come degli uomini.

2)Il mercato del lavoro

Il mercato del lavoro italiano è ancorato a logiche maschiliste, perché non si è innovato nel tempo. La sua costruzione fu pensata quando l’economia italiana era essenzialmente legata alla Fabbrica, luogo per eccellenza del lavoro maschile e fisico. 

Il lavoro viene ancora oggi considerato “ad ora” e non si basa sulla produttività. Inoltre, le logiche manageriali sono ancora fortemente connesse al “possesso” del lavoratore che viene preso “a noleggio” per un certo numero di ore. 

L’Italia ha un sistema molto vecchio (ancora fortemente legato agli anni 70, circa 50 anni fa ormai), nonostante il mondo dei servizi valga ormai quasi il 40% del totale economia e poco meno del 47% dell’occupazione  (qui uno focus sul tema).

Il digitale estremizza questa tendenza rendendo smaterializzato il lavoro che diventa sempre più intellettuale e meno fisico. Negli Stati Uniti, per esempio il 47% delle professione risulta essere ad alto rischio “sostituzione” (Approfondimento qui), molti di questi lavori sono fisici e manuali dai lavori nell’agricoltura fino a quelli nelle fabbriche, aree del lavoro storicamente maschili.

Questa è una cosa positiva, perché sono lavori usuranti e che “danneggiano” il corpo umano ed era fattibili tendenzialmente solo dagli uomini. I nuovi lavori che si andranno dunque a creare sono tutti digitali e non implicano uno sforzo fisico “sopportabile” solo dal corpo maschile.

I due punti citati creano una pericolosa situazione di discriminazione nelle donne: infatti, la cultura italiana incita le donne a restare a casa e prendersi cura dei familiari in senso ampio (figli, parenti con disabilità, genitori anziani ecc.). 

Questo implica che esse abbiano minore possibilità di lavorare, per assenza di tempo e mezzi di trasporto veloci. L’uomo lavora e, dunque, essendo lui il capofamiglia (sistema patriarcale) la donna deve sacrificarsi per il bene e la coesione della famiglia. 

I sistemi di flessibilità del lavoro in Italia sono ancora molto scarsi e far conciliare vita privata e lavorativa è attualmente molto complesso. Ad un certo punto, purtroppo, si decide in alcuni casi (ma significativi numericamente) di lasciare il lavoro per badare ai figli. 

Le donne che hanno figli sono donne che lavorano, perché nei Paesi sviluppati si fanno pochi figli, ma di “qualità”. Le famiglie di un tempo avevano 8 figli, di cui molti morivano al parto, alcuni giovani, altri in guerra e gli altri dovevano coltivare i campi, questa era la famiglia media italiana.

Oggi avere 8 figli sarebbe impensabile, perché costano tantissimo sia per lo Stato (scuola, sanità ecc.), che per le famiglie (vestiti, cibo, istruzione, cure mediche, sport e così via). Molte donne, dunque, semplicemente rinunciano al lavoro per dedicarsi alla famiglia e dunque rinunciano alla propria carriera: sia per senso di colpa, sia per una forte pressione sociale, ma non tanto per una reale volontà a sacrificare la propria vita professionale. Ovviamente i dati sono “medi”, dunque non è detto che tutte le donne siano costrette, c’è sicuramente una parte che decide di effettuare questa scelta spontaneamente e con convinzione, non in quanto emarginata o forzata.

Tuttavia negare il problema è stupido, siamo il Paese al mondo con più donne iscritte all’Università (formazione terziaria), eppure abbiamo un tasso di partecipazione femminile al mondo del lavoro che è ridicolo, solo il 54,4% delle donne lavora (qui i dati), siamo come al solito tra i peggiori in Europa.

Nel 2016 citando una statistica degli ispettorati del lavoro circa 30.000 donne hanno dato le dimissioni dal posto di lavoro in occasione della maternità, non a caso ci sono appena 22,5 posti in asilo nido ogni 100 bambini tra 0 e 3 anni, rispetto ai 33 richiesti dall’Europa come obiettivo da raggiungere (fonte).

Come si risolve questo problema?

1) Capire il problema

Semplicemente parlandone e argomentando le proprie ipotesi con degli studi e ricerche e discussioni basate su i dati, anche solo quelli citati e non per sentito dire. Sicuramente bisogna cambiare la mentalità delle donne che devono sentirsi più sicure di esprimersi e di mettersi in gioco, emanciparsi di più costruendo ambienti positivi fuori dalle logiche patriarcali da padre padrone. 

2) Dibattito su possibili soluzioni in più ambiti

Cercando di ottenere e stimolare il dibattito sui temi della flessibilità del lavoro, cercando di ottenere modalità di lavoro più coerenti con la vita privata. Iniziate a pretendere certe cose, restando coese. Ad esempio, si potrebbero favorire l’uso di contratti part time, l’uso del lavoro in remoto (a distanza), l’introduzione della paternità, l’introduzione di asili nido e così via. Capire anche le donne che lavorano ed hanno raggiunto certi livelli che percorso abbiano fatto e come abbiano affrontato le difficoltà comuni alle altre persone.

3) Puntare sulla formazione digitale, il lavoro digitale e sperimentare il lavoro in remoto

Molti di questi aspetti sono ampiamente compatibili con le nuove tipologie di lavori nel digitale.

Dunque, donne, formatevi nei lavori digitali e tecnologici, perché se l’Italia non arriva a raggiungere gli standard degli altri Paesi, basterà anche solo saper parlare la lingua inglese per accedere al mercato del lavoro con minore difficoltà, sia da dipendenti che da libere professioniste, anche in remoto per aziende oltre il confine nazionale. In questo modo si può ovviare il problema di un mercato italiano vecchio e conservatore. 

Una potenziale soluzione per aumentare l’uguaglianza tra i sessi potrebbero proprio essere la formazione digitale e a distanza per aggiornarsi e spendere le proprie competenze subito nel mercato del lavoro; sicuramente anche alimentare un dibattito può rendere più attenta la società e i suoi attori.

Oggi più che mai abbiamo bisogno di donne forti e che aiutino il Paese a mettersi in piedi, perché le donne sono una ricchezza che non riusciamo a far emergere come meritano. L’EuroFound (Agenzia Governativa Europea) sostiene che se le donne partecipassero pienamente al mondo del lavoro avremmo un incremento dell’11% della ricchezza nazionale (qui un focus sui loro studi).

Assumersi la responsabilità di affrontare un problema è il primo passo per avere il potere di risolverlo in quanto società civile: comprendo le difficoltà, ma oggi più che mai abbiamo bisogno di persone coraggiose e che rompano gli schemi di un passato che ci blocca come sabbia mobili.

 

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