(Adnkronos) “Il primo campanello d’allarme per le malattie parodontali in generale, quindi anche per le forme più lievi, come le gengiviti, è una gengiva rossa che sanguina. Il sanguinamento con lo spazzolamento è già un segno che deve mettere in allarme. Abbiamo pazienti che si rivolgono a noi, al parodontologo o comunque al dentista, perché riferiscono per esempio di trovare, la mattina, il cuscino sporco di sangue: sono già dei sanguinamenti spontanei che danno l’idea di qualcosa di più grave. Anche accorgersi di avere dei denti mobili, o la loro migrazione, è un altro segnale. E’ importante cercare di accorgersi dei sintomi precoci e comportarsi di conseguenza”. Così Raffaele Cavalcanti, vicepresidente della Società italiana di parodontologia e implantologia (Sidp), spiega all’Adnkronos Salute sintomi e trattamenti della patologia orale, in occasione della Giornata nazionale della parodontite.
“Come tutti i pazienti che hanno altre condizioni di infiammazione cronica sistemica, anche il paziente con la parodontite aggiunge Cavalcanti deve fare una terapia costante che può avere una fase attiva e una fase di supporto, di mantenimento. La terapia è efficace, ma ha bisogno poi di un programma, di richiami personalizzati nel tempo, in base alle condizioni iniziali in cui troviamo i nostri pazienti e alle condizioni al termine della fase attiva di trattamento. Gli intervalli più rigorosi, per pazienti più a rischio, sono di circa 4 mesi, quindi 3 volte all’anno. Quelli invece con un profilo di rischio più basso possono avere degli intervalli un po’ più lunghi”. A tale proposito, sull’incidenza della parodontite, “non c’è una grande differenza tra i due generi, ma ci sono degli stili di vita che sono più comuni alla popolazione maschile, uno su tutti il fumo, per esempio, oppure un regime alimentare non adeguato e, in generale, per tutti la scarsa attività fisica, che sono dei fattori che predispongono alla malattia”.
Le tecnologie “ci hanno consentito, in linea generale, di fare passi da gigante osserva l’esperto Per quanto riguarda l’aspetto diagnostico, lo strumento tuttora di riferimento è manuale, la sonda parodontale, una specie di righello molto piccolo e sottile per misurare una serie di aspetti, ma anche per esempio la risposta al sondaggio dei tessuti con il sanguinamento. Ci sono poi degli esami diagnostici più avanzati, dalla radiologia di secondo livello, agli esami tridimensionali conclude Cavalcanti che possono integrare il percorso diagnostico iniziale che associa, al sondaggio parodontale, radiotografie classiche bidimensionali, soprattutto per i programmi terapeutici e per eventuali percorsi chirurgici: per l’inserimento di impianti, la radiologia di secondo livello e delle immagini 3D possono essere utili”.