”Contro i Mottola caccia alle streghe, vanno assolti”

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Contro i Mottola in tutti questi anni c’è stata ”una caccia alle streghe”. Inizia così l’arringa che conclude la giornata delle difese al processo per l’omicidio di Serena Mollicone, la 18enne di Arce uccisa nel 2001. A pronunciarla è l’avvocato Mauro Marsella, uno degli avvocati del pool della difesa dei Mottola, imputati nel processo di secondo grado davanti alla prima Corte d’Assise d’Appello di Roma, ormai giunto alle battute finali. La sentenza è attesa per il 12 luglio, quando dopo eventuali repliche, i giudici entreranno in Camera di Consiglio per poi emettere la sentenza. La procura generale ha chiesto 24 anni per il maresciallo Franco Mottola, ex comandante della caserma di Arce e 22 anni per il figlio Marco e la moglie Annamaria, quattro anni per il carabiniere Francesco Suprano e l’assoluzione per il collega Vincenzo Quatrale. Le difese hanno invece chiesto l’assoluzione piena per tutti gli imputati con la formula per ”non aver commesso il fatto”. Secondo l’accusa Serena Mollicone sarebbe stata uccisa in caserma, sbattuta prima contro una porta durante una lite con Marco Mottola e poi soffocata con il nastro adesivo dai tre componenti della famiglia. Tutti gli imputati nel processo sono stati assolti in primo grado.

Puntando sulla requisitoria l’avvocato Marsella ha sottolineato come “la procura generale” abbia fatto ”un richiamo all’omicidio Vannini”. ”Ma in quel caso c’è una pistola, che è l’arma del delitto, e persino una chiamata al 118 registrata. Qui invece siamo in presenza di un processo indiziario”. “Ci sono delle prove scientifiche insuperabili”, dice ancora sottolineando che “sul cadavere di Serena ci sono decine di impronte digitali ma nessuna dei Mottola”. “La procura di Cassino non ha saputo spiegare prima e la procura generale non saputo integrare poi per quale motivo sia stato commesso un delitto così grave”, ha detto l’avvocato sottolineando poi che Santino Tuzi, il carabiniere morto suicida nel 2008 che dichiarò di aver visto Serena entrare in caserma “è inattendibile: se fosse ancora vivo sarebbe anche lui tra gli imputati”.

Ad aprire l’udienza è stato lo storico difensore dei Mottola, l’avvocato Francesco Germani, che in aula ha ripercorso le fasi del 1 giugno 2001, giorno della scomparsa della giovane, affrontando punto per punto avvistamenti e testimonianze. Nel corso del dibattimento, ha detto, ”non è stata dimostrata nessuna prova che la pubblica accusa vuole dare per acclarata” e poi:”So di aver combattuto una buona battaglia proprio perché sono convinto della completa innocenza dei signori Mottola”.

gli avvistamenti e i testimoni

Sulla presenza di Serena e Marco Mottola, quella mattina, al bar Chioppetelle il difensore dice: “Non c’è nessun elemento che possa collocarli in quel posto. Nemmeno Carmine Belli ci dice che quel ragazzo che aveva visto discutere con Serena era Marco Mottola”. Concentrandosi sulla ricostruzione del delitto fatta dalla procura generale Germani chiede alla Corte: “Marco uccide Serena e poi si cambia e va in piazza con gli amici. La sua amica Elisa Santopadre ci dice che è tranquillo e sereno come sempre. Un ragazzo di 18 anni ha la durezza d’animo per stare così sereno dopo aver lasciato in casa una ragazza agonizzante?”.

Inoltre parlando di Franco Mottola il difensore aggiunge: “Secondo l’accusa nell’arco di un’ora il maresciallo avrebbe coinvolto tre militari integerrimi in un omicidio per coprire il figlio? Quali leve può avere usato per convincerli? Anche di questo manca la prova”.

Poi sull’ipotesi che Annamaria e Franco Mottola abbiano trasportato il cadavere di Serena fino al boschetto di Fonte Cupa dice: “Non esiste in tutta la notte un arco utile a compiere questa azione. Mottola non è rimasto mai da solo per più di 30-40 minuti. Lo stesso padre di Serena, Guglielmo Mollicone, è stato circa due ore in caserma con il maresciallo dopo mezzanotte”.

l’arma e il luogo del delitto

Infine sull’arma del delitto prosegue: “L’assassino in genere se ne sbarazza e invece in questo caso lasciano la porta li’ alla mercé del primo esperto dei Ris che la voglia analizzare: se su quella porta ci fosse stata una sola traccia di Serena il processo sarebbe finito”. L’avvocato ricorda anche l’impronta trovata sul nastro adesivo che avvolgeva il capo di Serena, affermando che “non è della famiglia Mottola e che non si sa a chi appartiene”.

”La domanda a cui devono rispondere i giudici non è se Serena è entrata in caserma ma se gli imputati l’hanno uccisa precisa poi l’altro avvocato del pool Piergiorgio Di Giuseppe Anche volendo considerare attendibile Tuzi e volendo credere che Serena sia entrata in caserma non c’è alcuna prova che l’omicidio sia avvenuto lì”.

(di Giorgia Sodaro)