Il Pd cresce in Emilia-Romagna, mantiene i Comuni dove governava e guarda con fiducia alle regionali del prossimo autunno. Con il mantra del ‘campo larghissimo’, che laddove è stato schierato ha stravinto. Come a Modena, dove Massimo Mezzetti è diventato sindaco con il 64% e a Cesena dove l’uscente Enzo Lattuca è stato confermato con il 65%. Ma l’alleanza larga ha funzionato anche a Reggio Emilia (eletto Marco Massari) e in altri Comuni più piccoli, ma comunque significativi come Carpi, Fidenza, Cervia. Il ‘modello Modena’ è già quello indicato negli ambienti del Pd per non correre il rischio di perdere la propria regione simbolo: individuare un candidato che metta d’accordo tutti, scelto senza primarie dopo una discussione in alcuni tratti anche abbastanza aspra, ma che è riuscito a mettere insieme Pd, Avs, M5s, Azione, Italia Viva e +Europa. Farlo in Regione è ovviamente più complicato, ma la strada è tracciata e se l’operazione andasse in porto, stando ai risultati delle Europee, il centrosinistra partirebbe con un vantaggio teorico di 15 punti.
La cosa più complicata sarà la scelta del nome. Lo stesso Bonaccini, appena eletto all’europarlamento, ha invitato a fare presto: “Quello che ha pagato di questi 9 anni e mezzo è stato non dividersi mai, anche con coalizioni molto larghe. Credo che se si interpreterà così, al di là dello strumento e del percorso che si sceglierà. Chi ci vota si aspetta una scelta che sia la più rapida possibile”. Le prossime settimane potrebbero già essere decisive: in pole position, con la benedizione dello stesso Bonaccini, c’è il sindaco di Ravenna Michele de Pascale. I prossimi giorni saranno abbastanza decisivi e verranno allo scoperto posizionamenti ed endorsement finora rimasti coperti causa campagna elettorale. Della partita ci sono però anche due esponenti della giunta Bonaccini: la vicepresidente Irene Priolo e l’assessore al lavoro Vincenzo Colla.
Il centrodestra ha confermato Ferrara: il leghista Alan Fabbri, che cinque anni fa riuscì nella storica impresa di strappare la città al governo della sinistra che durava dal dopoguerra, è stato confermato dai suoi cittadini con una vittoria larga al primo turno. Ma ha svuotato il suo partito: la Lega, che nel 2019 lo accompagnò alla vittoria con il 31% è scesa al 7,5%: il primo partito in città è una lista civica, che ha superato il 30%, e che si chiama semplicemente ‘Alan Fabbri sindaco’. Una lezione anche per le regionali: per provare a vincere non si può fare a meno di un candidato che prenda voti nel campo avversario. Rimane in bilico solo la situazione di Forlì: il sindaco uscente di centrodestra, Gian Luca Zattini, che, insieme ai suoi colleghi, si è trovato a gestire l’alluvione dell’anno scorso e tutte le polemiche che ne sono seguite, a oltre metà scrutinio è sul filo del 50%. Zattini ha ricevuto anche il sostegno di Azione e Italia Viva, qui alleati di Fdi, Lega e Forza Italia. Il candidato del Pd Graziano Rinaldini, sostenuto anche da Avs e M5s, spera di trascinare la sfida al ballottaggio.
ANSA