venerdì, Marzo 29, 2024

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Casi di studio sullo Smart Working in Italia: Parte 1

Oggi ho voluto affrontare alcune casistiche italiane che hanno utilizzato con successo lo smart working. Questa serie di articoli ho deciso di scriverli sempre a 4 mani con Francesco Sessa Bellucci, per avere un taglio più tecnico e ampio su certi punti. I casi sono tanti e vanno a toccare quelle che sono delle difficoltà emerse nell’uso dello smart working e risolte.

Capire gli altri come abbiano affrontato il problema è un modo per avere una visione ampia e realistica senza cadere nei pregiudizi nichilisti e inutili (tipici italiani), ma nemmeno esaltazioni figlie di slogan e pressapochismo becero.

Lo smart working e il diritto alla disconnessione in teoria solo si sono affermati in Italia con legge numero 81 del 2017. Essenzialmente ha 2 anni appena. In realtà ha già riconosciuto numerose esperienze applicazioni precedenti con contratti collettivi aziendali di secondo livello e decreti per le istituzioni pubbliche come l’Università. Qui per approfondire il tema nello specifico in un nostro articolo precedente sulle leggi; qui per gli effetti economici.

Barilla 2015

Circa il diritto alla disconnessione un esempio rilevante è l’accordo siglato tra la Barilla e le organizzazioni sindacali nel 2015. Mi piace questo caso perché mostra quando si introducono politiche del lavoro serie e basate sui numeri che effettivamente influiscono positivamente su tutti gli attori coinvolti possono lavorare insieme. Questo è ciò che accade per esempio nei Paesi scandinavi e dunque possiamo dire che a volte accade anche da noi! Questo caso è precedente di 2 anni alla normativa sullo smart working.

Infatti sebbene non si faccia riferimento espressamente alla disconnessione, è previsto che lo svolgimento della prestazione lavorativa debba avvenire nel normale orario di lavoro della sede di appartenenza . Questo vale anche per lo svolgimento dello smart working, dunque la persona dovrà rendersi disponibile e contrattabile tramite gli strumenti aziendali. 

In sostanza la disconnessione dovrebbe essere garantita in tutto l’arco temporale che eccede tale orario.

Caso Enel 2017

L’accordo Enel del 4 aprile 2017 precisa che il lavoro agile rappresenta una semplice variazione del luogo di adempimento della prestazione , ma non impatta sull’orario di lavoro. Ne consegue che il dipendente è tenuto ad essere a disposizione del datore di lavoro durante l’orario di lavoro, e pertanto, in quel periodo di tempo deve essere contattabile dal suo responsabile tramite gli strumenti tecnologici.

Caso dell’Università Statale di Varese-Como (Università dell’Insubria)

Questo è un caso interessante perché riguarda un ente pubblico e particolarmente burocratizzante come l’Università in Italia. Non a caso in questo caso lo strumento usato è stato un decreto. Se ci siete prof. Battete un colpo e introducetelo anche voi!

Nello specifico, nel 2017 l’Università dell’Insubria ha emanato un decreto dedicato al diritto alla disconnessione dei propri dipendenti. L’Ateneo qualifica espressamente la disconnessione come il diritto a non rispondere a telefonate, e-mail e messaggi provenienti dall’ufficio ed ha anche istituito il “Giorno di indipendenza dalle e-mail” ogni tre mesi, ossia il 21 marzo, il 21 giugno, il 21 settembre e il 21 dicembre (qui per maggiori info).

Dunque con diritto alla disconnessione il funzionamento della reperibilità aziendale dovrà essere rivisto. In pratica bisogna costruire un sistema di rotazione di turni per offrire il servizio. Tuttavia nei servizi c’è chi li eroga e poi c’è una figura “in panchina” che si attiva qualora ci siano problemi, questa è essenzialmente la reperibilità o “pronta disponibilità”, ossia la condizione di essere prontamente rintracciato, fuori dal proprio orario di lavoro (qui).

Che cosa cambia? Poco, semplicemente bisogna creare un sistema per cui anche nella reperibilità c’è sempre qualcuno che copra il “turno ombra” a rotazione o con giorni di riposo “ombra”. In modo tale che si possa assicurare il riposo totale agli altri lavoratori che non hanno né il turno reale né la reperibilità. Il sistema è molto simile a quello degli ospedali che hanno il pronto soccorso.

Cosa succede se cambio lavoro o posizione nell’azienda con lo smart working?

Riguardo ad altre tematiche relative allo smart working a livello di contrattazione collettiva si è tenuto conto di modifiche delle condizioni originarie del lavoro. In particolare è interessante: il trasferimento o l’assegnazione ad una nuova unità produttiva; la variazione delle mansioni che si configurano come cambiamenti che possono incidere sulla compatibilità del lavoro agile rispetto alla prestazione lavorativa. 

Per questo motivo, alcuni accordi prevedono che l’autorizzazione venga meno in tali evenienze ( BNL, Intesa Sanpaolo) (vedi qui per maggiori chiarimenti sul tema). Come abbiamo spesso ribadito lo smart working non è applicabile a tutte le figure professionali, né è applicabile allo stesso modo. Questa modalità di lavoro è pensata per ogni singolo lavoratore in modo personalizzato in base alle sue esigenze, cambiando le esigenze potrebbe anche essere dannosa per l’azienda e il lavoratore stesso soprattutto per l’equilibrio tra sfera lavorativa e privata. In tal senso va letta proprio questa direzione data nel contratto collettivo di Zurich (qui).

Clausole aperte che cosa sono e quando si attivano?

Nello specifico si sono introdotte delle clausole aperte che riguardano il recesso dallo smart working, che non impatta in nessun modo dal contratto di lavoro che rimane attivo a prescindere perché è una modalità di lavoro ancillare al contratto di lavoro principale.

In pratica potete introdurre lo smart working e toglierlo per un motivo (anche solo una rinuncia del dipendente) e tornare a lavorare esclusivamente in ufficio senza nessuna modificazione del contratto originale. Ovviamente se venite avviene un licenziamento, viene meno il contratto su cui poi si regge a sua volta quello dello smart working.

Le cause per cui si possono attivare le clausole aperte possono legate a motivi: tecnici, organizzativi, produttivi o di quelle previsioni che richiedono un determinato standard qualitativo di prestazione.

In tale contesto non sorge alcun dubbio che, almeno in astratto, il reperimento di un nuovo impiego più remunerativo potrebbe rappresentare un giustificato motivo di recesso del lavoratore. Allo stesso modo di una ragione economico-produttiva del datore di lavoro, quanto meno per assicurare una certa simmetricità della clausola legale in discorso.

Lo stesso discorso vale in caso di mutate esigenze familiari che potrebbero rendere non più utile, ad esempio il lavoro nel proprio domicilio come contemplato all’interno del contratto collettivo sopracitato Zurich.

Altri motivi rispondono, invece, ai potenziali risultati negativi della sperimentazione, inteso sia dal lato del dipendente che magari non si trova bene, sia dal lato dell’azienda che magari vede risultati contro-producenti (potenzialmente coincidono insieme le due condizioni). Questa previsione è prevista proprio nel caso di Zurich.

Negli accordi analizzati la produttività del singolo non è espressamente presa in considerazione quale autonomo motivo di recesso, ma ad ogni modo potrebbe rientrare nelle clausole aperte, specialmente quelle relative agli standard (A.Vallebona Massimario di giurisprudenza del lavoro n.12/2017, purtroppo non trovabile il libro online al momento).

In tale disciplina, come detto, viene dato un grande spazio all’autonomia individuale. Ricordiamo tuttavia che la filosofia dello smart working segue due direttive precise: incrementare la competitività e coinciliare tempi lavorativi e privati. Questo è palese nell’articolo 19 sempre della legge 81 del 2017.

La rivoluzione di questo approccio è che si fonda sul rispetto e la collaborazione delle parti da cui deriva anche l’onestà intellettuale di ammettere un eventuale errore aggiustabile con le clausole aperte. Nessuno nasce “imparato” o perfetto, quindi bisogna andare a creare un modello che poi nell’applicazione pratica trovi un compromesso realistico e sostenibile per tutti.

Queste caratteristiche hanno una valenza sensibilmente innovativa il cui intento è il raggiungimento di obiettivi economici, ma anche solidaristici.

Sono pratiche moderne e genuine di gestione delle risorse umane attraverso l’autonomia collettiva, che possono avere un impatto significativo sulle relazioni sindacali tipo decentrato e incidere sulla loro politica.

Infatti la contrattazione collettiva di secondo livello può definire l’organizzazione aziendale e del lavoro quale luogo dove si possono inserire elementi di flessibilità, ma anche di protezione e riconoscimento di beni e diritti fondamentali in un’ottica di condivisione tra management e prestatori di lavoro (Cfr.da ultimo Cass. n. 20727/2015; Cass.n. 14960/2009; Cass.n.7991/2008; Cass.n.6230/2005 qui).

In pratica possiamo superare quell’antagonismo ormai perfino stereotipato tra l’imprenditore sempre cattivo e il sindacato sempre contrario ed adirato su tutto.

 

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