Partecipare alla serata finale del premio Strega con un sogno nel cassetto tanto irrealizzabile quanto dirompente. Ovvero che, arrivati al rush finale quando lo spoglio delle schede scandisce i momenti salienti del rito che anno dopo anno si consuma al Ninfeo di Villa Giulia, a Roma emerga un verdetto inedito. Nessun vincitore assoluto, tutti premiati. E’ l’auspicio, venato forse da una buona dose di divertita immaginazione, che esprime Dario Voltolini in gara con il suo ‘Invernale’, pubblicato da La Nave di Teseo e presentato da Sandro Veronesi. “Spererei in sei ex aequo”, dice infatti lo scrittore all’AdnKronos. Un risultato “che sarebbe formidabile anche dal punto di vista della comunicazione, farebbe molta notizia”, osserva Voltolini che prende anche in prestito, sorridendo, una battuta fulminante di Nereo Rocco. “‘Vinca il migliore? Speriamo di no!’. Il grande allenatore sapeva che la sua squadra era la più debole e per questo sperava che non vincesse la formazione più titolata”, ricorda Voltolini alludendo, chissà, a quello che potrebbe succedere durante la serata del 4 luglio.
Fuor di metafora per Voltolini il fatto di essere entrato in sestina è già una vittoria. “Non aspetto il risultato per dire che è stata un’esperienza positiva e che sono felice di avervi partecipato”. Che cosa si aspetta? “Personalmente non mi aspetto nulla”, ammette Voltolini. In ogni caso, rimarca, gli autori che formano la sestina e che hanno presentato i loro libri in giro per l’Italia formano “un gruppo molto amichevole, ci divertiamo molto. Mi aspetto che, qualunque sia il risultato, continui così fra noi sei. A me piacerebbe che si riuscisse a mettere in luce e a mandare avanti un’idea condivisa di letteratura. Credo che siamo in un buon momento per le nostre lettere”.
Voltolini si sofferma ora a raccontare gli elementi essenziali del suo libro che può essere considerato come “una specie di celebrazione di mio padre. Descrivo i suoi ultimi anni di vita. La sua malattia e la sua morte sono avvenuti 40 anni fa. Avrei potuto scrivere questo libro in qualunque altro momento, ma l’ho scritto ora come se fosse una specie di omaggio. Per me questa storia è un po’ come se fosse il mio esame di maturità di scrittore. Spero che sia andato bene, ma questo non tocca a me dirlo”, sostiene Voltolini.
“Mio padre – racconta ancora era un macellaio di carne ovina, polli e conigli, quindi bestie piccole. Aveva uno stand nel grande mercato di Porta Palazzo a Torino. Io ogni tanto andavo da lui, un po’ ho anche lavorato lì. Quello che descrivo è in presa diretta, è il mio ricordo. Da bambino ero affascinato dal rutilare di lame, dai gesti, dalla velocità. Il sabato era un giorno in cui c’era tanta ressa” ricorda Voltolini.
“Ho voluto raccontare – spiega una storia specifica senza pretendere che abbia dei valori universali. E’ la testimonianza di un rapporto con una persona poco espansiva dal punto di vista della parola. Non ci siamo parlati tanto neanche della malattia che gli stava capitando. Però è come se avessimo avuto un legame saldo e indistruttibile anche a prescindere dalla parola”. Insomma, è la storia “di due persone solidali anche nel silenzio”.
Un racconto privato, certo. Un frammento di vita personale che, tuttavia, ha toccato le corde di molti lettori che si rispecchiano nelle vicende narrate da Voltolini. “Molte persone mi hanno detto: ‘Hai raccontato una storia tua che è anche un po’ la mia. E’ capitata anche a me. Questa – osserva è una delle soddisfazioni impagabili di questo mestiere. Narrare un fatto molto personale e privato nel quale si ritrovano tanti altri. E’ il mistero della letteratura”, conclude.
(di Carlo Roma)